domenica 10 novembre 2013

Certi giorni sono felice - Lucrezia Lerro

Bompiani, 2008 ( I ed. Pequod, 2005)

Visto che oggi Amazon propone in offerta l'ebook di questo libro di Lucrezia Lerro, di cui avevo recensito l'ultima uscita giusto ieri, ho recuperato la recensione di Certi giorni sono felice, letto alcuni anni fa.

Prima prova narrativa di Lucrezia Lerro, contiene già alcuni segni caratteristici dell'autrice: scrittura curata e limpida (che poi sarebbe diventata sempre più sciatta nel corso del tempo, ndr), disagio giovanile, meschinità delle donne adulte, bestialità degli uomini Sud Italia arcaico, anoressia e bulimia. 
La trama è molto semplice: la protagonista, in un paesino asfittico del Sud, lotta con i disturbi alimentari, guardata e non capita da una madre incapace che per mantenere entrambe si prostituisce con un orrido macellaio. La ragazza tiene una sorta di diario, che è poi il libro in questione. 
Un libro scritto  bene, ma troppo doloroso, a volte autolesionista. Non lo farei leggere a una ragazzina con problemi di alimentazione, perché i passaggi legati a questo argomento sono davvero troppo forti. Non sono in grado di dire se questa parte sia realistica, ma sicuramente è un pugno allo stomaco. La catarsi arriva, come spesso nei libri di Lerro, a un passo dalla fine e non soddisfa il lettore.

*Da leggere solo se:

- non si hanno tracce di problemi alimentari*

sabato 9 novembre 2013

La confraternita delle puttane - Lucrezia Lerro

Mondadori, 2013

Non si salva nessuno in questa storia. E non si salva niente di questo libro di Lucrezia Lerro, ennesima variazione del tema a lei caro del Sud primitivo e cattivo. 

E' la storia di alcune ragazzine che crescono in un paesino del sud degli anni '80, circondate di uomini preda degli istinti più bestiali e di donne/madri meschine. Tutti sono gretti e
cattivi. Il sud narrato è claustrofobico e putrido, abbondantemente stereotipo con incursioni nel macchiettistico. Io che pure sono cresciuta in un paesino del sud degli anni '80 non ricordo e non riconosco tanta bestialità, la narrazione vorrebbe essere realistica ma è francamente inverosimile. 
I personaggi monodimensionali non aiutano: in una narrazione efficace occorrono chiaroscuri, e qui è tutto nero, compresa la trama minima e scontata. Non c'è crescita dei personaggi, non c'è catarsi, solo un susseguirsi di cose spiacevoli che spiegano sempre lo stesso concetto: il sud è il male, gli uomini sono bestie, le donne (e le madri) sono cattive.

 Un'altra spiacevole sorpresa è stata il linguaggio: nei libri precedenti la Lerro aveva dato prova, pur nel ripetersi ossessivo degli stessi temi, di un uso pulito della lingua. Qui i dialoghi sono improbabili, con scelte lessicali incongrue  nel parlato, che risulta poco plausibile e il registro della voce narrante è sciatto e monotòne. O l'autrice, passando dalla narrazione intimistica a un più ambizioso romanzo corale, ha fatto il passo più lungo della gamba, o in Bompiani, sua precedente casa editrice, avevano editor migliori che in Mondadori. 

*Da NON leggere perché:
- è una storia morbosa e senza luce
- è scritto in modo sciatto
- non dice nulla  di nuovo o diverso rispetto agli altri libri dell'autrice

giovedì 7 novembre 2013

La masnà - Raffaella Romagnolo


Piemme, 2013. 


Bella davvero, la storia di tre donne piemontesi, nonna made e figlia,  dentro e fuori dalla Casa dei Francesi, una casa colonica a forma di L dentro la quale si nascondono cattiverie, segreti e pace sempre in bilico.
Il tono è antiepico, dimesso, teso a dimostrare la grandezza delle storie minime. Il contesto storico, dal dopoguerra  agli anni '90, è evocato con tratti leggeri che non appesantiscono la narrazione ma la rendono subito più realistica. Particolare attenzione è data alla condizione femminile, con un occhio alle donne che restano masnà, bambine in dialetto piemontese, finché la vita non le mette alla prova facendo emergere le loro capacità. Ho apprezzato molto la descrizione del mondo contadino, narrato senza idealizzazioni romantiche né forzature da romanzo di denuncia: la vita  di chi lavora in campagna è narrata nelle sue durezze e nei suoi momenti di pace, con realismo e un velo di poesia.


 La storia è abbastanza lineare nella narrazione di tre vite non eccezionali ma dense di piccoli avvenimenti che portano, forse, a una presa di coscienza di Sé, ma la trama è raffinata e complessa, con un uso attento dei piani temporali e una grande capacità di scrittura.
 Il linguaggio è curatissimo ed empatico con i personaggi, un continuo slittare di punti di vista delle tre protagoniste che ricostruiscono storie contadine e proletarie, fatica e soprusi, grandi sacrifici e illusorie soddisfazioni. Gli inserti in dialetto piemontesi sono brevi ma frequenti, e danno ritmo ed efficacia al continuo flusso dei pensieri. Anche se non si capiscono tutte le parole (forse sarebbe stato opportuno un piccolo glossario per chi ha poca pazienza con l'interpretazione) il tono è chiaro, ed è quello che conta. 

Ancora, a differenza di  altri romanzi corali in cui la trama soffoca lo sviluppo dei caratteri (mi viene in mente Mille anni che sono qui di Mariolina Venezia, che pure, per altri motivi, ho amato molto), qui i personaggi sono strutturati molto bene. Gli uomini sono tutti meschini per motivi diversi - ma non manca qualche sorpresa - , le donne sono più forti di quanto esse stesse credano.  La trama compie dei giri complessi e architettati con cura, lasciando a mio avviso un dettaglio nascosto consapevolmente nelle pieghe della trama. Bella prova per l'autrice.

* Da leggere perché:
- è un affresco della storia d'Italia attraverso la storia dal basso
- non racconta storie grandiose e improbabili ma storia ordinarie rese epiche dallo sguardo dell'autrice quando uno sa scrivere succede così)
- ha giri di trama sorprendenti ma lascia un velo di non detto *

lunedì 4 novembre 2013

E a mio nipote Albert lascio l'isola che ho vinto a fatty hagan in una partita a poker - David Forrest

Il Saggiatore, I ed. 1977. Titolo originale: And to My Nephew Albert I Leave the Island What I Won off Fatty Hagan in a Poker Game (1969). Traduzione di Ida Omboni.

Delizioso. Un irresistibile racconto umoristico che  ridicolizza la Guerra Fredda soavemente, all'insegna del pacifismo degli anni '60. I personaggi sono al servizio del dipanarsi di una storia esilarante ma non priva di impegno politico, che vede contrapposti Russi e Americani che si contendono uno squallido isolotto di proprietà di un giovane inglese. Quest'ultimo, in mezzo alla Guerra fredda sulla sua proprietà, ha il solo pensiero di concludere il rapporto sessuale interrotto dall'arrivo dei russi, e si comporta di conseguenza. Russi e americani si scrutano, si temono, e cominciano ad interagire, all'inizio per necessità, date le circostanze, e in seguito con esiti esilaranti.
Il messaggio è Peace&Love (e alcool) (e non poteva essere diversamente in un romanzo di quell'epoca), raccontato con umorismo e leggerezza.
 Un plauso alla traduzione: il linguaggio dei russi che parlano un improbabile, divertentissimo inglese è stato reso in italiano con giochi di parole spettacolari e divertenti almeno quanto in originale.

PS. Il nome dell'autore è in realtà uno pseudonimo dietro cui si nascondono due scrittori, Robert Forres-Webb e David Eliades, che negli anni '60-'70 scrissero quattro romanzi tutti su questo stile. 

* Da leggere perché:
- è divertente e leggero
- è il ritratto umoristico di un'epoca
- i giochi di parole dei russi che parlano in italiano (inglese nell'originale) sono caleidoscopici *

domenica 3 novembre 2013

Stupro. Una storia d'amore - Joyce Carol Oates

Bompiani, 2004. Titolo originale: Rape: A Love Story. Traduzione di  Rino Seru

Diabolicamente brava Joyce Carol Oates. Scrive in un linguaggio affilato (e tradotto benissimo) una storia durissima, in cui porta il lettore in posti orribili fino a fargli approvare l'omicidio, tifare per un poliziotto serial killer perché il suo uccidere gli stupratori di una donna che conosce appena significa amore, è l'unico sentimento sano in un vortice di aberrazione. E la penna si fa dolce su Beth, la figlia dodicenne che ha il dono di preservare la propria innocenza nonostante tutto. Una lettura intensa e spesso disturbante, che si riesce a finire grazie alla scrittura magistrale

Da leggere perché:
- costringe a rivedere le categorie di bene e male, giusto e sbagliato.
- ha una scrittura e una traduzione stringata ed efficace: grazie a questa prosa minimalista la storia riesce a non diventare morbosa.

Venivamo tutte per mare - Julie Otsuka

Bollati Boringhieri, 2012. Titolo originale: The Buddha in the Attic. Traduzione di Silvia Pareschi.

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La mia prima recensione riguarda un libro letto per caso - spesso sono i migliori - quest'estate, soltanto perché l'offerta del giorno di Amazon lo dava in supersconto a uno o due euro. Ne sono rimasta folgorata.

Bello, bellissimo questo romanzo sulle donne giapponesi spose per procura dei loro connazionali emigrati in america. le navi cariche di promesse spose attraversano l'oceano e  consegnano le donne a una vita molto diversa da quella che avevano immaginato. Le fatiche, gli stenti, il razzismo, l'evoluzione delle vite sono tratte da ricerche storiografiche dell'autrice: sono storie vere insomma.
 La narrazione in un'inedita prima persona plurale, un noi anonimo e potente, rende il tono quasi ipnotico, un unico grande flusso con mille rivoli. Bellissimo, e tradotto benissimo da Silvia Pareschi.
(Breve divagazione: sempre quest'estate mi sono resa conto che molti dei libri che ho amato sono  tradotti da Silvia Pareschi (qui il suo blog), e ho imparato a cercare il suo nome anche prima di quello dell'autore).

Il titolo in originale è diverso rispetto alla sua traduzione: The Buddha in the Attic (il Buddha in soffitta, da una scena dell'ultima pagina *NON è uno spoiler*) è diventato in italiano Venivamo tutte per mare, frase d'esordio del romanzo. E' una delle rare volte in cui la diffusa abitudine di modificare il titolo di un libro ha prodotto un risultato migliore in traduzione che nell'originale: Venivamo tutte per mare è già poesia, è già epica sommessa, è il cuore del libro in quattro parole.

*Da leggere perché:
- la storia è forte, vera e poco conosciuta
- lo stile, con quella prima persona plurale gestita con grande maestria, è inedito e potente
- è tradotto in modo meraviglioso *

Benvenuti

Sono una lettrice appassionata e puntigliosa. Raccolgo le mie recensioni di libri su Anobii da anni e ho creato questo blog per condividerle anche fuori dal sito, in aggiunta alle nuove. 
Leggo principalmente su Kindle (ma Amazon non mi paga per questa dichiarazione ;-). é solo che un kindle è più facile da portare in giro rispetto ai quattro libri che leggo contemporaneamente).  
Buona meta-lettura, e grazie per i commenti che vorrete lasciarmi. :-)